lunedì 18 ottobre 2010

Sogni da proletariato a progetto

Ho sognato di essere un’ape e di posarmi sui fiori più colorati, ho sognato di volare.
Ho sognato di essere apprezzata ed ammirata, di essere temuta e rispettata.
Nel sogno volavo ronzando, mentre vedevo il mondo scorrere sotto di me.
Capitavo in una stazione di servizio per automobili e mi posavo sul bordo di un finestrino mezzo aperto, così che, quando l'auto partiva, mi trovavo già in faccia al vento a gustarmi lo spettacolo della velocità.
Tenevo le ali chiuse per non compromettere l’aerodinamicità della vettura e sentivo il vento forte che mi agitava la peluria del dorso.
Ne godevo tanto da rischiare di perdere l’equilibrio e con le zampette ben salde, come una surfista dei finestrini, me ne restavo appollaiata su quel bordo di vetro e mi piaceva un sacco.
Quando l’auto si fermava volavo via contenta.
Era stupendo essere un’ape, avevo avventure, facevo affari con la storia del polline, con il miele e con la tratta dei fuchi. Avevo una posizione sociale di tutto rispetto.
Ma il sonno finisce e con il sonno finisce il sogno, mi sono svegliata.
Sono tornata blatta, faccio schifo agli altri ed un po’ a me stessa.
I mezzi di produzione del miele, la grande distribuzione del polline e lo sfruttamento dei fuchi continuano ad essere appannaggio delle api che sono organizzate.
Noi blatte siamo disgregate socialmente, prima che moralmente.
Se andassi in una stazione di servizio per automobili potrei mettermi sotto le ruote della prima che parte.

giovedì 14 ottobre 2010

Studio statistico umanistico sugli impazziti per traffico a Roma il diciotto aprile millenovecentonovantotto. Intervista n. 4

Legenda: Intervistatore: I – Pazzo: P

Testo dell’intervista

I: Buongiorno signore.
P: Buongiorno a lei, come stà?
I: Io bene. Lei la vedo alquanto blu, si sente bene?
P: Mai stato meglio.
I: Lei è uno dei quindici impazziti per traffico a Roma il diciotto aprile del millenovecentonovantotto, dati per scomparsi il diciannove aprile del millenovecentonovantotto?
P: Impazziti per traffico mi piace, si, siamo impazziti per traffico a Roma quel giorno.
I: Finalmente uno che lo ammette.
P: Come?
I: Niente, parlavo tra me. Mi dica cosa è successo. Se lo ricorda? E’ sicuro di stare bene? Fisicamente ha l’aria di essere in forma, però mi sembra un po’ blu nell’aspetto.
P: Non si preoccupi, sto benissimo.
I: Tranne che per il fatto che è leggermente pazzo, no?
P: E’ vero, me ne stavo dimenticando. Sono impazzito per traffico a Roma. Quando? Mi rinfreschi la memoria.
I: Il diciotto aprile millenovecentonovantotto.
P: Si, è vero, proprio quel giorno. Bé, guardi, lei mi è simpatico. Finora nessuno di noi ha mai rilasciato interviste al riguardo, ma per lei farò un eccezione e le racconterò come è andata.
I: Bene. Sono tutto orecchi.
P: Eravamo su Via Salaria, fermi sotto il cavalcavia della tangenziale, imbottigliati nel traffico delle sei del pomeriggio.
I: Una cosa abominevole.
P: Ben detto, abominevole. Insomma, eravamo fermi, e ci guardavamo intorno cercando una via d’uscita.
I: Eravate chi?
P: Io e gli altri quattordici, ognuno nella sua auto, ognuno quasi impazzito.
I: E poi?
P: Siamo impazziti.
I: Bene.
P: Si, bene. E’ stato fantastico. Siamo usciti tutti e quindici contemporaneamente dalle auto e ce ne siamo andati, lasciandole li, sotto lo sguardo degli altri automobilisti.
I: E che avete fatto.
P: Siamo venuti qui.
I: Quindi i quindici impazziti per traffico a Roma quel diciotto di aprile, sono impazziti tutti assieme, cari amici.
P: Ma con chi parla?
I: Con nessuno, parlo tra me. Dicevamo, quindi, che state qui, a Villa Ada, da allora?
P: Si chiama in un altro modo, ma si, viviamo qui.
I: Come vivete?
P: Qui c’è tutto quello che ci occorre, i frutti della terra, l’alberocasa, l’albero delle anime.
I: L’albero che?
P: L’albero delle anime.
I: Aaahh!! Cos’era quello?
P: Cosa?
I: Quella cosa che ci ha volato sulla testa.
P: Niente, il mio amico Sturkzin che si allena sulla banshee.
I: Che?
P: Sturkzin che si allena sulla banshee, un ikran.
I: Adesso è più chiaro. Che diavolo era quella cosa che volava?
P: Una banshee, un animale abbastanza comune qui.
I: A Villa Ada?
P: No, su Pandora.
I: E che è?
P: Una delle tre lune del pianeta Polyphemus, la luna su cui ti trovi ora si chiama Pandora.
I: Ma se stiamo davanti al laghetto di Villa Ada.
P: La Grande Madre Eywa ti perdonerà per quello che dici. E, ad ogni modo, anche il laghetto di Villa Ada è parte del tutto che Eywa, la grande Madre, comprende in se.
I: Certo che sei impazzito di brutto tu, quel diciotto di aprile. E su un omone di più di due metri come te la pazzia non è una bella cosa.
P: Sono alto tre metri e quaranta.
I: Aaaahhh! Chi sono quelli? Tutti blu e tutti alti tre metri.
P: Gli altri impazziti, siamo Nav’i adesso. Quel giorno ci siamo convertiti al naturalismo e abbiamo assunto un aspetto nuovo, grazie a Eywa, la …
I: La grande madre, l’ho capito. Ma che siete, avatar?
P: Ah, ah. Voi umani ci chiamate così? Avatar. Ah, ah, ah.
I: Si, è proprio divertente. Che strano il mondo, vero?
P: Non è strano il mondo, sono gli umani ad essere strani.
I: Giusto, gli umani sono strani. Bene, io avrei da fare alcune cosette, poi dovrei trascrivere l’intervista per pubblicarla sul blog. Se non ti dispiace, me ne andrei. Se seguo il sentiero arrivo all’uscita su Via Salaria, giusto?
P: No, di la vai ai monti fluttuanti di Pandora. Via Salaria è di là. Attento che a quest’ora c’è un sacco di traffico.
I: Già, i monti fluttuanti. Bé, grazie tanto dell’intervista, è stata molto interessante.
P: Torna a trovarci quando vuoi.
I: Contaci. Addio.

Incredibile, cari lettori, i quindici impazziti scomparsi stanno a Villa Ada e sono diventati avatar.
Questa storia delle interviste agli impazziti per traffico sta cominciando a diventare pericolosa, ma la qualità scientifica del mio lavoro inizia a dare i suoi frutti.

martedì 12 ottobre 2010

Freghismi

Sto per fregarne un altro.
Chi prova a fregarmi?
Chi sarà il prossimo che proverà a fregarmi?
Mi muovo circospetto e mi guardo alle spalle,
cerco qualcuno da fregare.
Chi vuole fregarmi?
Mio fratello? L’ho fregato.
I miei amici? Fregati.
La mia donna? La frego io.
Chi ho fregato quest’oggi?
Chi fregherò domani?
Mi hanno fregato? Ci hanno provato?
Tu vuoi fregarmi? Già ti ho fregato io.
Al mondo chi frega non viene fregato.
Vincere è fregare una volta di più di quante si viene fregati.
Chi sto fregando? Chi fregherò?
E’ dolce il ricordo di quanti ho fregato.