domenica 29 agosto 2010

Studio statistico umanistico sugli impazziti per traffico a Roma il diciotto aprile millenovecentonovantotto. Intervista n. 3

Legenda: Intervistatore: I – Pazzo: P

Testo dell’intervista

I: Lei è pazzo?
P: No.
I: Quando è impazzito?
P: E lei?
I: E’impazzito guidando nel traffico?
P: Io non ho mai guidato, non ho nemmeno la patente.
I: Può dirci che cosa ha pensato all’inizio, nel momento in cui è impazzito?
P: Ho pensato che per essere diventato pazzo, il traffico doveva essere arrivato a un livello di esaurimento insopportabile. Credo che la pazzia, per il traffico, sia stata una via di fuga.
I: Lei è’ impazzito per fuggire dalla realtà?
P: Non io, il traffico è impazzito per fuggire da se stesso. Sentendosi perduto in un ingorgo ha preferito impazzire.
I: Si rende conto di quello che dice?
P: Si, perfettamente. E lei si rende conto che ha fatto due ore di traffico per arrivare fin qua a fare questa intervista?
I: Può descriverci la sua famiglia?
P: Non ne ho nessuna intenzione.
I: Vuole parlarci della sua infanzia?
P: No.
I: Sa perché lei viene considerato pazzo?
P: Nessuno mi ha mai considerato pazzo.
I: Ha qualche dichiarazione da fare in proposito.
P: No.
I: Non è stata molto utile questa intervista.
P: I soldi pattuiti deve darmeli lo stesso.
I: E’ venale lei?
P: L’intervista è finita. Basta domande, mi deve pagare.
I: Certo che come pazzo lei sembra piuttosto attento alle cose pratiche.
P: Glielo ho detto che non sono pazzo.

Dopo questa esperienza ho deciso che, in cambio delle interviste, non prometterò mai più del denaro agli impazziti per traffico a Roma il diciotto aprile millenovecentonovantotto. Se me lo chiedessero, il denaro intendo, ebbene li classificherei nel mio computo scientifico come deceduti, tanto non credo che qualcuno si prenderà mai la briga di controllare se è vero.

lunedì 23 agosto 2010

Un orto botanico

Quello che rimpiango di Roma non è la città sparita che non ho visto, né il suo popolo che era migliore prima di adesso soltanto perché non aveva niente e poteva permettersi di essere generoso senza nulla perdere. Rimpiango il luogo che avrebbe potuto essere, perché l'ho immaginato tanto che praticamente l'ho visto.
Roma avrebbe potuto essere l'orto botanico archeologico e il parco naturale artistico più sensazionale nel giro di almeno quattro o cinque continenti. I musei archeologici avrebbero potuto inserirsi in musei forestali e agricoli, il centro storico si sarebbe potuto circondare di boschi, vigne e frutteti che allo stesso tempo vi avrebbero attestato avamposti nelle ville patrizie boschive e sul lungotevere boscoso; e la sede della Sovrintendenza si poteva fare in cima ad una sequoia (per i primi secoli, aspettando la crescita dell'albero, l'ufficio sarebbe stato in verità un po' strettino).
Io non rimpiango la città che Roma è stata, rimpiango che a Roma ci sia ancora una città, anziché una riserva naturalistico culturale.
Però, se si demolissero gli edifici posteriori al millenovecento (quasi tutti) e si rimboscasse a tappeto tutta la provincia, la situazione potrebbe migliorare.
Il Tevere potrebbe tornare, non solo balneabile, ma anche potabile, oltre che biondo.
E invece delle squallide bancarelle dell'estate romana si organizzerebbe il festival della poesia tra i ginepri di Corso Vittorio, l'estemporanea di pittura nella pineta di Piazza Venezia, o la sagra delle zucchine gratinate nella serra multimediale degli ortaggi del Circo Massimo. Tarzan si farebbe il bagno all'incrocio tra l'Aniene e il Tevere. La biennale del cinema muto bulgaro restaurato avrebbe il suo fascino ed un sicuro successo nella cornice verde lussureggiante del Parco delle Piante Tropicali di San Giovanni in Laterano. E tante simili amenità che si possono inventare.
Pensiamoci, e dopo averci pensato, trasferiamoci a rovinare un altro posto.

sabato 14 agosto 2010

La solita incomunicabilità della società moderna

Ad un certo punto s’è alzato ed ha detto “Vorrei che ascoltaste quello che ho da dire perché vorrei dire qualcosa per me importante. E vorrei che questa cosa sembrasse importante anche a voi.”
Poi si è guardato attorno ed ha concluso “Volevo dire solo questo.”
Non ha aggiunto altro e si è seduto di nuovo al suo posto.
Molti dei presenti istintivamente sono stati d’accordo con lui.

sabato 7 agosto 2010

Studio statistico umanistico sugli impazziti per traffico a Roma il diciotto aprile millenovecentonovantotto - Intervista n. 2

Legenda: Intervistatore: I – Pazzo: P

Testo dell’intervista

I: Lei era nel traffico il diciotto aprile del millenovecentonovantotto?
P: Si.
I: Dove, esattamente?
P: Sul Lungotevere della Farnesina.
I: A Trastevere.
P: Si, ero in prima fila davanti al semaforo rosso e attendevo il verde.
I: Il semaforo di Piazza Trilussa?
P: Precisamente.
I: E cosa è successo.
P: Si è fermato il tempo.
I: In che senso?
P: Non scatta più il verde.
I: In effetti, lo dico per i lettori che leggeranno la trascrizione dell’intervista, ci troviamo su Lungotevere della Farnesina ed il semaforo di Piazza Trilussa è rosso.
P: E’ guasto secondo lei?
I: Non saprei. Vuole farci credere che lei si trova qui dal diciotto aprile del millenovecentonovantotto?
P: Minuto più, minuto meno.
I: Lei è pazzo.
P: Senta, le multe selvagge mi hanno messo sul lastrico, io col rosso non ci passo. Sarò pazzo, ma un’altra multa non la voglio prendere.
I: Ecco, è scattato il verde. Perché resta fermo?
P: Non è verde, è ancora rosso.
I: Ma non vede che stanno passando tutti? E gli automobilisti dietro stanno fondendo le coronarie con i clacson per quanto sono infuriati con lei che resta fermo.
P: Le dico che è rosso.
I: Lei sta qui da dodici anni? Lei è pazzo davvero. Si è perfino formata della vegetazione intorno alla sua auto.
P: E’ un piccolo giardino che curo personalmente.
I: Come sopravvive?
P: Mia moglie mi porta delle provviste una volta a settimana.
I: Non posso crederci. Intanto è tornato ad essere rosso il semaforo.
P: Glielo avevo detto che è rosso.
I: Ma è intermittente, poi tornerà il verde.
P: Può darsi che lei abbia ragione, ma poi tornerebbe a essere rosso. E se superassi l’incrocio quando venisse questo colore verde, come dice lei, colore che da quando sono qui non ho mai visto, poi ne incontrerei un altro rosso dopo cento metri. Tanto vale starmene qua, che è un bel posto, con il mio giardinetto di piantine dalle foglie sempre rosse. Sono molto autunnali non trova? Le foglie rosse intendo.
I: Le foglie rosse? Senta, mi tolga una curiosità – faccio presente ai lettori che al momento dell’intervista indossavo una polo verde – mi dica, questa mia polo, di che colore è?
P: Rossa.

Errata Corrige Legenda. Intervistatore: I – Daltonico: D.

I: Lei è daltonico, ecco perché da dodici anni vede un semaforo sempre rosso. Il semaforo diventa verde come tutti gli altri, ma lei quel diciotto aprile del millenovecentonovantotto è diventato daltonico, non pazzo.
D: Non mi dica. Quindi ho perso tutto questo tempo. E dire che avevo un sacco di cose da fare. Allora corro ad occuparmi degli affari miei. Vede che gioiello di macchina, è ripartita come se fosse rimasta ferma dodici giorni anziché dodici anni.
I: Aspetti.
D: Arrivederci.
I: E’ partito, ma il semaforo è ancora rosso. Si è salvato perché non passava nessuno. Continuo a vederlo mentre si avvicina al semaforo successivo e passa nuovamente col rosso credendo ormai che tutto ciò che vede rosso sia verde. Risparmio ai lettori la descrizione della scena dell’impatto della sua auto con il tram proveniente da Piazza Sonnino.

Da approfondimenti successivi a questa intervista sono giunto alla conclusione che il daltonismo del diciotto aprile millenovecentonovantotto nel soggetto oggetto del presente studio è stato indotto dalla pazzia. Ovvero il soggetto è diventato daltonico perché impazzito. Altrimenti non lo si potrebbe annoverare tra i cinquantadue pazzi da traffico di quel giorno ed io che ne ho intervistati finora solo due, me ne dovrei mettere a cercare un altro che non è mai stato individuato.
Se il tizio daltonico venisse dichiarato uscito di senno a causa del daltonismo che gli aveva fatto percepire un semaforo come rosso per dodici anni e non daltonico perché pazzo, come potrei trovare il vero cinquantaduesimo pazzo?
Se avete capito la domanda spero che possiate darmi dei suggerimenti.

mercoledì 4 agosto 2010

Studio statistico umanistico sugli impazziti per traffico a Roma il diciotto aprile millenovecentonovantotto - Intervista n. 1

Legenda: Intervistatore: I – Pazzo: P

Testo dell’intervista

I: Buongiorno, lei è impazzito a causa del traffico il diciotto aprile millenovecentonovantotto?
P: Del traffico? Buona questa. Forse si, il traffico è una tale follia.
I: Ricorda come sono andate le cose?
P: Quali cose?

Faccio notare, a lato, ai lettori che l’intervistato, in sella ad un velocipede privo di motore, si tiene sul vago riguardo la sua follia. Tipico: lui tenta di nasconderla agli altri e soprattutto a se stesso, ma essa, la follia, lo incalza inesorabile.

I: Ricorda quel terribile giorno di dodici anni fa?
P: No che non ricordo un giorno a caso di dodici anni fa. Ma chi è lei?
I: Il dottore.

Ho detto questo per incutere timore e rispetto: nei pazzi funziona.

P: Forse è lei che ha bisogno di un dottore. Cosa vuole?
I: Va spesso in bicicletta?
P: Continuamente. E’ il mio solo mezzo di trasporto, oltre al treno.
I: Da quanto tempo?
P: Da molti anni.
I: Dal diciotto aprile millenovecentonovantotto.
P: Dagli. Magari è così. Dal diciotto eccetera, se le fa piacere.
I: Diciotto aprile millenovecentonovantotto.
P: Bravo.
I: Si muove in città in bicicletta da allora?
P: Sempre.
I: Lei è pazzo.
P: Le sembro pazzo perché vado in bici? Mi fa schifo il traffico e mi fa schifo l’idea di inquinare. Attraverso tutta Roma in bicicletta.
I: Non si alteri. Siamo tutti certi che lei abbia ragione.

I pazzi vanno assecondati.

P: Tutti chi?
I: Non si preoccupi, va tutto bene.
P: Senta, immagino che sia un brutto periodo per lei, se vuole parliamone, ma forse è il caso che torni a casa e si faccia una bella dormita.
I: Lei crede? Non si sente bene?
P: Io si. Forse lei, però, è meglio che si riposi.

Decido di continuare ad assecondarlo.

I: Lei, intanto, continuerà ad andare in bicicletta?
P: Si. Vuole fare un giro?
I: Grazie, no, non salgo su una bici da molti anni.
P: Sbaglia, lo sa? Pedalare cambia il valore del movimento.

Cosa diamine dice il pazzo, mi domando, e lo assecondo ancora.

I: Certo, naturalmente.

Comincio a temere per la mia incolumità, il pazzo sembra furioso.

P: Si sente bene?
I: Certo. Sto benissimo.
P: Vada a casa e si riposi.
I: Va bene.
P: E si compri una bicicletta.
I: Come no, naturalmente.
P: Così non sarà più tanto stressato per il traffico.

Guadagno l'uscita e mi metto in salvo.

Ebbene, con questa intervista ho dato testimonianza del primo dei ventisette casi di impazziti per traffico quel diciotto di aprile millenovecentonovantotto.
Mi sembra evidente che se uno gira a Roma in bicicletta da molti anni e continua a farlo è certamente pazzo, oltre che fortunato a non essere finito sotto un autobus.
Ad ogni modo il pazzo è stato inserito nella statistica scientifica del mio studio.